Un altro tassello di storia triestina (ma che s'intreccia con quella della vicina penisola istriana) dopo i fortunati libri sulla Bora, sul sistema tranviaro a Trieste, sugli stabilimenti balneari del capoluogo giuliano.
Questa volta l'autrice appone un tassello sul colorato mosaico di storia triestina diverso dal solito, partendo dalla conformazione urbanistica della città che vide (e vede, per certi aspetti, ancor oggi) la piazza luogo dove nascono e crescono i primi mercati dei prodotti della terra che provenivano dal Carso ma, soprattutto, dall'Istria.
Mercati semplici dove le primizie imbandivano il desco di una Trieste, quella dell'Ottocento e dei primi del Novecento, affacciata sul suo porto-emporio.L'autrice va a ritroso con la memoria fino all'età medievale e fornisce al lettore uno spaccato di colori e parlata di indiscutibile interesse.
Ma non sono solo i prodotti dell'agricoltura il fil rouge del libro, ma anche il mercato del pesce, gli ambulanti con i loro richiami, i loro inconfondibili rumori (il battibaccalà, per esempio) l'omo de l'asedo, el pestapevere e tanti altri ancora.Uno spaccato di vita popolare che l'autrice ha fatto riemergere dal limbo della storia.
Una storia che fisicamente sta scomparendo - come il mercato ortofrutticolo di piazza Ponterosso o la pescheria centrale (Santa Maria del Guato, per la sua svettante torre a forma di campanile) che diverrà un centro congressi - ma che restano in vita grazie alle melodie popolari ed alle poesie, uniche vere superstiti dei cambiamenti economici e territoriali che hanno segnato queste terre; melodie e poesie che trovano ampio spazio in codesta pubblicazione a ricordo dei bei tempi andati quando s'udiva il richiamo del venditore del pesce che ha dato vita a storici siparietti radiofonici (orade, orade, ociade, ociade, branzini, pessimòli, scampi, caramai, capesante, capelonghe, caperòzoli! ale, ale, siora Nina, che el sol magna le ore!) oppure di gustose canzonette (Son de mestier venderigola in piazza, son triestina, matona sincera, mi trato tuti con bela maniera ).
In altre parole una Trieste che non esiste più, se non nei ricordi evocati da sbiadite cartoline oppure da vecchi e introvabili canti popolari.